venerdì 10 giugno 2011

ALBERTO GUGLIELMI UNO SCIENZIATO DAL GRANDE CERVELLO!

Voglio proporre uno stralcio dell'intervista rilasciata dal Prof. Guglielmi a Il Giornale di Vicenza poco tempo fa. Un "simbolo" della ricerca e capacità italiana riconosciuta nel mondo, con la speranza nei prossimi mesi di poterlo intervistare...così ci potrà chiarire le idee.

Il mistero del Cosmo è qui. Sotto la roccia alla ricerca della "particella di Dio"

ALBERTO GUGLIELMI
29/03/2011

È uno dei "cervelli italiani" che non è stato costretto a emigrare e, conoscendolo, mai salirebbe sui tetti a protestare contro questo o quell'altro ministro. Certo, di strada ne fa. E parecchia: dalla sua Vicenza all'Università di Padova, dal Dipartimento intitolato a Galileo Galilei a Ginevra, dal Cern elvetico al centro del Gran Sasso dove si trovano i laboratori sotterranei dell'Istituto Nazionale di Fisica nucleare. Treno, aereo, auto. Alberto Guglielmi ha 55 anni ed è un fisico la cui voglia di apparire è inversamente proprozionale alla bravura (da tutti riconosciutagli) che ha dimostrato dai tempi in cui studiava sino all'affermazione nell'equipe del premio Nobel Carlo Rubbia tutta protesa, in questi anni e in queste ore in particolare dedicate al progetto ICARUS, alla ricerca delle oscillazioni del neutrino: la particella elementare chiave per spiegare l'Universo, e la sua massa oscura e invisibile. Cioè a dire: il 96 per cento della materia di cui è composto il Cosmo. L'impresa di una vita di studi e ricerche.

Prof. Gugliemi, ricorda quando fu la prima volta che si trovò al cospetto delle oscillazioni del neutrino?
Perfettamente: era la fine luglio del 1984, mi ero laureato da poco, quando in laboratorio dell'Università di Padova arrivò la mia "capa", la prof. Milla Baldo Ceolin, una carissima persona con la quale avevo dato la tesi e che ho sentito anche poche ore fa per un saluto e un aggiornamento sulla situazione dei nostri esperimenti. Mi disse: «Faccia la valigia. Lei domani va a Ginevra a lavorare con gli americani. Si applicherà sul neutrino, e vedrà che ce ne sarà un gran bisogno». Detto, fatto: mi misero a lavorare di notte come "cane da guardia" al Big European Bubble Chamber, all'epoca la più grande camera a bolle del mondo. Quando arrivava una particella carica, questa produceva una minuscola scia di bollicine e noi la fotografavamo. In pratica: vedevi i neutrini, le loro tracce, ma non riuscivi a catturarne l'oscillazione, cioè la trasformazione durante il loro viaggio dal cosmo a noi. Fu nel 1998 in Giappone che si registrarono in laboratorio i primi segnali di questo tipo.

Ora siano arrivati all'era di Icarus, Imaging Cosmic and Rare Underground Signals. Da quanto tempo sta lavorando al progetto?
La storia è lunga e strana. Per sintetizzarla: nacque nel 1985 da un'idea del prof. Rubbia. Nel frattempo io feci anche dell'altro, sempre nel campo delle mie conoscenze. Nel 2001 entrai in Icarus arrivandoci dal Cern di Ginevra. Con altri cinque colleghi progettammo il cosiddetto "fascio del Gran Sasso". In quell'ambito, ero uno degli italiani di riferimento per l'Istituto nazionale di fisica nucleare. Nel 2002 si cominciò a costruire il percorso che collega Cern a Gran Sasso. Il rivelatore di cui parliamo è una enorme camera a bolle ad Argon liquido, ma elettronica: come paragonare una fotografia in pellicola e una digitale. Le 600 tonnellate di Argon liquido utilizzate per produrre eventi sono una realtà unica al mondo.

E state già vedendo cose significative sul neutrino?
Forse paragonabili al tempo in cui fu inventato il cannocchiale e fu puntato verso il cielo. Riusciamo a cogliere una decina di interazioni di neutrino al giorno, in diretta, con una ricchezza di informazioni impensabile fino a poco tempo fa.

C'è stato un momento in cui facendo la spola tra Padova e Ginevra, tra la Svizzera e i laboratori sotterranei del Gran Sasso, ha pensato: basta, mollo tutto, chi ce lo fa fare?
Sì, l'ultima volta venti giorni fa. Momenti di fatica indicibile ma soprattutto scoramento di fronte ai ritardi di consegna di materiale da parte di ditte, aziende chiamate a collaborare al progetto. Poi però l'altro venerdì il Cern ha iniziato a inviarci i neutrini e la domenica successiva abbiamo visto i primi eventi: fantastico! La fatica scompare, le arrabbiature diventano un ricordo. E poi, i giovani! Caspita, abbiamo una squadra di giovani e lavorare con loro, guidarli, scoprire insieme è entusiasmante.

Cosa prova nel buio dei laboratori sotterranei alla vigilia di un grande esperimento? Solo con se stesso, cosa le passa davanti agli occhi, nella sua mente scientifica?
Beh, ci sono varie immagini: sei in una galleria gigantesca, tutti corrono, ognuno sembra indaffarato e immerso nei fatti suoi: invece è un'equipe che si muove con un suo ordine. Tu sei nella tua control room e d'improvviso tutto si calma. Comincia l'esperimento, accade l'evento. Che può essere il fascio che parte da Ginevera a settecento e passa chilometri di distanza e arriva da noi, sottoterra, fra le rocce. Ma può essere anche l'esplosione di una Supernova, i cui neutrini vediamo fin qui, nel cuore del Gran Sasso... Entusiasta, informi direttamente Carlo Rubbia e magari, per una sera, ti scordi di chiamare la famiglia...

Torniamo all'operazione Icarus: a quale tipo di domanda voi dell'équipe volete dare una risposta?
In sintesi: abbiamo inventato uno strumento per indagare meglio la Natura. Ora c'è il mondo scientifico che ci guarda, e vorrebbe seguirci. Tutti sono in attesa di poter vedere il neutrino che oscilla, si trasforma e se esiste davvero il il cosiddetto neutrino sterile, che non partecipa all'interazione. Questa particella nuova potrebbe spiegare meglio di ogni altra la massa mancante dell'Universo.

Gli esperimenti che in via preliminare hanno condotto a Icarus preannunciano una "nuova fisica": se ne sente portabandiera, esponente, alfiere?
In un certo modo sì. Aver contribuito a convincere la gente a realizzare il fascio che dal Cern arriva ai Laboratori in Abruzzo, progettare e realizzare quest'imponente rivelatore, seguire i giovani, sentirsi fieri della tecnologia italiana e dell'azione intrapresa dal prof. Rubbia, sapere che qui nasce la fisica dei neutrini per i prossimi 10, 15 anni mi fa sentire attore di questo grande momento.

Caotico, scintillante o in espansione: il cosmologo inglese John D. Barrow, fautore della teoria del "Multiverso", sembra quasi invitare a... scegliere il cosmo che preferiamo. Sulla base di questi modelli qual è il suo?
A me piace molto l'Universo caotico. Perché anche quello che è caotico è in realtà gestito da una legge: la Legge del caos. Fluttuazioni, statistiche, spazio, tempo...Hai leggi che sovrintendono al caos e al caso, e scoprirlo è meraviglioso.

Il Futuro non si prevede, si inventa: la frase del Nobel per la Fisica Dennis Gabor, il padre del Laser, ogni anno fa da leit motiv alle risposte date da scienziati, artisti, pensatori alla domanda della rivista Edge. Secondo Lei qual è allora l'Idea che cambierà il mondo? Quale sarà la prossima Rivoluzione?
La frase è perfetta, la trovo splendida ogni volta che la sento. Certo, è giusto , è doveroso fare progetti: ma guai fermarsi al prevedibile. Arriveremo a scoprire il mistero dell'Universo, il Bosone di Higgs, la cosiddetta "particella di Dio"? Ci stiamo lavorando con passione: di uomini e ricercatori. Ma è essenziale farlo "pensando oltre".

L'11 gennaio scorso il satellite PLANCK ci ha mostrato il Cosmo poco dopo il Big Bang. Il "Cosmo bambino", come è stato definito: di soli 380 mila anni. Oggi ne ha 13,7 miliardi. A fronte di questo, il nobel George Smoot dice che la nostra conoscenza dell'Universo si limita al 4% della materia che lo compone. Con la combinazione Planck - Icarus, di quanto potrà aumentare questa nostra conoscenza?
Del Cosmo conosciamo il 4 per cento, verissimo. Il restante 96 è materia oscura. Meglio: energia oscura. Ma c'è. Eccome. Con Icarus non andiamo sulla materia oscura ma sul neutrino, possibilmente sterile: un'idea di pochi giorni fa, a proposito del "non fermarsi al prevedibile"... E di certo la combinazione Planck-Icarus porterà a tante novità.

Sembra che il mondo scientifico sia tutto concentrato sulle origini del mondo. Ma la vostra comunità s'interroga spesso sulla sua fine? Non ci sono eventi come quelli tragici del Giappone che vi fanno riflettere in questo senso?
Il problema del nucleare potrà trovare una soluzione sicura e importante quando saremo costretti ad abbandonare l'uranio per fine scorte e intraprendere la via del torio con l'ormai famoso nucleare di quarta generazione. Quanto accaduto, comunque, serva a far riflettere: su modi, tempi, utilizzo. E per come la vedo io, per guardare al sole. Non è che il sole ci dà tanto: no, ci da ben di più. Quindi, saperne sfruttare l'energia sarà la vera svolta per il futuro dell'uomo.

Fino all'inizio del XX secolo le teorie ubbidivano a visioni filosofiche, religiose, artistiche. Lei a quali obbedisce?
Da fisico, mi piace sempre rileggere quel che è avvenuto in passato: ti irrobustisce mentalmente e ti proietta nel futuro. Oltre. E sposando il concetto del "quel che è semplice è bello", il profilo artistico è quello in cui posso ricondurre il mio modo di teorizzare, pensare, progettare. Come un algoritmo per un circuito che ho applicato proprio poche ore fa. È di una semplicità estrema, e su 4300 eventi ne seleziona 13-14: quelli che ormai realmente ci interessano... Ma è perfetto, è semplicissimo ed è in grado di scremare il rumore dal segnale cosmico vero e proprio. Addizioni e sottrazioni: pensare semplice, spesso, aiuta a fare grandi cose.

Ma uno scienziato può credere in Dio? La ragione può aprirsi al sacro?
Certo che sì. Lo scienziato, il fisico, studia il come e il perchè avviene una determinata cosa, ma non chi ha detto di fare cosa. Non c'è antagonismo fra scienza e fede: si tratta di riconoscere, e di ammettere, qualcosa e qualcuno che sta più in là. Con umiltà. Il Vangelo non è stato scritto perchè un giorno potesse servire a fisici o premi Nobel, no: è stato scritto per tutti noi. E credere, allora, è ancora più facile se davvero vuoi essere aperto nei confronti di chi ha bisogno. Semplicemente.
Il prof. Alberto Guglielmi ai Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto nazionale Fisica Nucleare

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