mercoledì 6 giugno 2012

IL RAPPORTO FRA STATO ITALIANO E CITTADINO: FEUDO E SERVO DELLA GLEBA!

Tratto da: Il Sole 24 Ore Spentisi gli echi delle celebrazioni del Centocinquantenario, è arrivato il momento di domandarsi quale potrebbe essere l'agenda di questo Paese nei prossimi cinquant'anni. Che cosa, in altre parole, vorremmo poter festeggiare alla scadenza del prossimo Giubileo di storia unitaria. Non dunque l'agenda - tecnica o politica che sia - delle prossime settimane o dei prossimi mesi.

Quella è in larghissima misura già scritta da tempo. Ma piuttosto quella più sostanziale attinente al modo stesso di essere del Paese. Il primo punto in agenda è - o dovrebbe essere - il rapporto fra Stato e Cittadino che in Italia ancora si configura, sotto molti profili, come un rapporto fra il Sovrano e i suoi sudditi. È qui lo spread più preoccupante fra l'Italia e i suoi principali partner occidentali. Ed è qui che lo sforzo dovrebbe essere concentrato perché maggiori sono le possibilità di recupero. La disparità di trattamento fra Stato e Cittadini permea pressoché ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Si traduce in norme che non oseremmo nemmeno immaginare nel rapporto fra privati. Prende la forma di una capillare e continua invadenza.

Si manifesta sotto l'aspetto di una diffusa e onnipresente arbitrarietà nella interpretazione e applicazione della legge. Semina dosi massicce di incertezza che rendono impossibile l'ordinato svolgimento di attività economiche. Genera senza sosta le occasioni per una corruzione tanto minuta quanto devastante. Ottunde, fino ad annullarlo, il nostro senso civico. Limita, senza ragione, la nostra libertà. Un esempio fra i tanti che si potrebbero fare: nel dibattito italiano più recente la relazione fra l'imposta individuale e i benefici della spesa pubblica finanziata con il relativo gettito è andata sbiadendo fino a essere spesso del tutto dimenticata. Pagare le tasse è diventato così per alcuni un "dovere etico" del tutto slegato dall'impiego delle stesse risorse.

Un dovere etico eventualmente condizionato dalla sola equità del prelievo (dalla sua distribuzione fra i contribuenti) e non già dalla qualità e dalla quantità dei beni pubblici finanziati dal prelievo stesso (e quindi da un qualche equilibrio fra Stato e Cittadino). Fermo restando l'obbligo fiscale, domandarsi, invece, se le tasse che ognuno di noi paga e pagherà sono e saranno - nel corso della nostra vita attesa - compensate dai servizi pubblici, dalle prestazioni e dai trasferimenti di cui le imposte sono (o, meglio, dovrebbero essere) la contropartita non è affatto inutile. Così come, da parte dello Stato, non è affatto inutile sentire il dovere di informare e rassicurare regolarmente i cittadini sulle modalità di impiego delle risorse pubbliche. È appena il caso di ricordare le parole di Luigi Einaudi: «Fa dunque d'uopo, nella pratica dei pubblici affari non dimenticare giammai, neppure per un momento, che l'economia nelle spese è il primo criterio della imposta.

E vi dirò ancora di più: è canone di cui abbisognano più i popoli liberi». Ogni riferimento alla spending review - in corso ormai da cinque anni senza, per ora apprezzabili risultati - è, naturalmente, del tutto casuale. La corrispondenza qualitativa e quantitativa fra imposte e servizi resi dallo Stato definisce in misura significativa il rapporto di ognuno di noi con lo Stato stesso. Contribuisce a fare di noi dei Cittadini. Se assente ingiustificata, ci identifica come sudditi. Quand'anche, dunque, uscissimo dalla crisi in cui è precipitata l'intera area dell'euro - e, in primis, l'Italia, per demeriti principalmente suoi - avremmo vita stentata se non affrontassimo di petto, anche brutalmente, il tema del rapporto fra Stato e Cittadini riportando il primo nel suo alveo naturale e rendendolo sempre e comunque soggetto alla legge, e restituendo ai secondi la loro piena dignità e la consapevolezza di poter trovare nelle regole la prima difesa dei propri diritti di libertà

Nessun commento:

Posta un commento