Tratto da: "Il Corriere della Sera". Una situazione quasi apocalittica di un Paese che è tenuto in piedi non si sà il perchè. Un dramma sociale che molto probabilente sarà condannata a patire anche l'Italia... Buona lettura.
CRIMINALITA' E DISOCCUPAZIONE- Così sopravvivere da queste parti non è facile. «Almeno 30mila negozi hanno chiuso solo in centro. Per intenderci uno su tre. I suicidi sono aumentati del 40 per cento. Il 20 per cento delle persone ha perso il lavoro. Altrettante vivono sotto la soglia di povertà», Greg Chrisohidis, fotografo 39enne dai lunghi capelli corvini, snocciola le cifre che vengono ripetute sui giornali. I numeri possono essere asettici, «ma questa è macelleria sociale». E le ricadute si vedono dovunque, anche in Pireus street, dove migliaia di greci si mettono in fila per un pasto da portare via in un sacchetto azzurro. Si vedono camminare per le strade del centro che oramai è stato diviso tra bande e immigrati che pensavano di trovare lavoro in Europa. E invece sono costretti a rimanere in Grecia. Senza un lavoro. Si sono spartiti il territorio dello spaccio e della prostituzione. Una dose di eroina, così come qualche minuto in compagnia, costa cinque euro, la stessa cifra che si paga per due souvlaki (spiedini). E quando cala la sera non c’è greco che possa passare indenne da queste vie. La criminalità (al 9 per cento nel 2009) è raddoppiata in due anni. Le strade male illuminate rendono il centro poco papabile per turisti e uomini d’affari. Con il risultato che migliaia di compagnie hanno abbandonato i loro uffici e almeno 18 alberghi intorno a Omonia hanno chiuso. Il cuore di Atene ha smesso di battere con questo esodo.
C'È CHI TIFA PER IL DEFAULT - «Se continuiamo così nemmeno il turismo ci salverà», sottolinea Christos Zafeiropoulos. Le sue speranze sono riposte negli stranieri visto che ha deciso di aprire un ristorante sotto l’ombra del Partenone. «Non pago i dipendenti da due mesi. Ma continuiamo a lavorare tutti i giorni». Per rientrare dai costi dovrebbe fare almeno 40 coperti tra pranzo e cena. Se arriva a dieci è «fortunato». Tiene duro, «per la mia famiglia e per i lavoratori». Certo è che a pensare alle feste, la prima cosa che viene in mente è il 2012. L’annus horribilis. L’anno della svolta. Lui tifa per il default. «Torniamo alla Dracma per non essere più schiavi dei tedeschi». E come lui centinaia di giovani. «Chiunque dica una cosa del genere o è un pazzo o un giocatore d’azzardo». Stathis Anestis, segretario generale del sindacato Gsee, è seduto nel suo ufficio in un palazzo coperto da uova di vernice lanciate durante una manifestazione. Scuote la testa, mentre sfoglia il rapporto sul suo Paese. «Siamo tornati a vivere nelle stesse condizioni del ’65, non siamo mai stati così male». Eppure le avvisaglie c’erano. «Sì, ma non ci abbiamo creduto. Ora bisogna ricominciare a crescere. Perché il paracadute delle famiglie non può durare a lungo». In molti casi non funziona già più. Un gruppo di studenti fuorisede dell’Università di Atene canta nella speranza di strappare un sorriso ai passanti. E, neanche a dirlo, qualche spicciolo. Il cestino è quasi vuoto. E’ il Natale ai tempi della crisi. E’ il Natale 2011 ad Atene.
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